Il Sionismo

Il sionismo è un movimento politico ed ideologico che viene fatto coincidere con l’attivismo di Theodor Herzl. In particolare si deve al Sionismo il suo manifesto Der Judenstaat pubblicato nel 1896.

Un excursus storico importante

Nel 1894 scoppia in Europa un caso singolare, segnato a tacciare e dividere il resto del secolo e probabilmente anche la storia fino ai giorni nostri: l’affare Dreyfus, o l’Affaire. In pratica un ufficiale ebreo parte dell’esercito francese viene accusato ingiustamente di aver fornito all’esercito prussiano informazioni critiche riguardo l’armata francese. Si tratta di un caso lampante che mostra come l’antisemitismo fosse radicato in Europa e soprattutto nella classe dirigente. E’ nota anche l’estrema polarizzazione del fatto. Emile Zolà scrisse e firmò assieme ad altri intellettuali la lettera aperta J’accuse ma furono più feroci le manifestazioni antisemite e nazionaliste. Basti anche pensare che anni dopo la fine del caso nel 1908 un giornalista di destra sparò a Dreyfus.
Benché all’inizio abbia detto che questo fosse un caso singolare non voglio suggerire che fosse un caso nato dal nulla, l’antisemitismo è una caratteristica presente in questo periodo, ricordo i pogrom in Ungheria nel 1882 e in Romania del 1903.

Finita questa parentesi occorre aggiungerne un’altra, il periodo dell’affare di Dreyfus è parallelo (o collegato, poi vedremo come) allo sviluppo degli Stati-nazione moderni, o ancora più specificatamente del nazionalismo. E’ finito da poco il risorgimento italiano dove si è completato questo ideale di nazione italiana, e iniziano a fiorire altri nazionalismi in potenza, che iniziano ad identificarsi con la lingua, come il nazionalismo fiammingo, ungherese, polacco, irlandese, gallese, basco ecc… Notare che tra questi nazionalismi ci sono anche alcuni relativamente recenti, in tutti c’è un lato comune, l’autodeterminazione. Il pensiero cioè che si è soggiogati da un impero straniero (il che è nei fatti vero) e che l’unico modo per potersi realizzare sia definirsi in quanto Stato e poter ergersi grazie ad uno stendardo rappresentante la patria.

Fine excursus storico

Benché Dreyfus fosse un ufficiale dell’esercito e quindi si fosse fatto strada, insomma abbia potuto dimostrare che l’affermazione degli ebrei anche in seno ad una nazione francese fosse possibile ricade come capro espiatorio facendo cadere il castello di carte di quest’illusione.
Theodor Herzl vede questo esempio e ne vede anche altri, come i pogrom che abbiamo nominato che concordano su un crescente antisemitismo. Insieme a ciò ci sono altri fatti analoghi, altre minoranze che in certi paesi vengono discriminate e le tali si organizzano in partiti nazionalisti, ed è qua che nasce il sionismo.
È quindi con il pensiero che sia impossibile poter uscire da una certa situazione di subordinazione se non con il nazionalismo.
Secondo me questo potrebbe considerarsi la soluzione sbagliata ad un problema lecito.
Prima vi ho raccontato di come il nazionalismo intersechi sia l’affare Dreyfus sia il sionismo. Citando Hobsbawm che riprende Pilsudski: lo Stato non solo fa la nazione ma ha bisogno di essa. Nel periodo della crescita dei nazionalismi in realtà quello che stiamo facendo è assistere ad una forma di salvaguardia degli Stati in quanto tali che non possono più affidarsi alla scontata sudditanza del popolo ma devono creare un simbolo alla quale il popolo, durante un processo di democratizzazione possa andare senza una ovvia coercizione e quel simbolo è la nazione e funziona nel più vecchio dei modi possibili ovvero la differenziazione tra il “noi” e il “voi”, qui il “noi” è la nazione, inclusa una lingua ed un’etnia e il “voi” è tutto ciò che non corrisponde, ecco quindi che ci troviamo all’affare Dreyfus, dove la prima domanda di un nazionalista non è se sia innocente o meno ma “perché un ebreo stava lì in primo luogo?”. Riportiamo con un pizzico di ironia il cambio di cognomi dei monarchi dei vari paesi per potersi adattare maggiormente a questa nuova narrativa. Risulta quindi abbastanza chiaro per me come ci sia un castello di carta da abbattere più che un altro da costruire. Riportiamo anche una conseguenza del pensiero di Herzl che si va per forza ad abbracciare con il colonialismo e il razzismo nei confronti delle popolazioni extraeuropee e vediamo un risultato estremamente attuale visto che oggigiorno sotto il nome del sionismo si muove la distruzione di case e l’omicidio di civili in Cisgiordania.

Il Sionismo Religioso

Il sionismo è stato frainteso e malinteso per primi dagli stessi avvocati per il sionismo che abbiamo in occidente, e anche lì nella Palestina occupata. Il Sionismo infatti non è un’ideologia religiosa, è un’ideologia che nasce laica, anzi in un periodo dove la teocrazia stava scendendo molto di moda. Tutt’al più potremmo considerare un panteismo alla Mazzini che gli ebrei del Secondo Tempio non avrebbero, credo, esitato a condannare ad una lapidazione o simili.
Anche oggigiorno sono molto in difficoltà a capire dove stia la religiosità dello Stato di Israele e dove non stia. Il kahanismo, movimento estremista ebraico di cui l’erede è nient’altro che Ben-Gvir nasce da un controverso rabbino di cui però è dubbia l’autorevolezza nella comunità rabbinica. Un altro fatto ambiguo è la leva militare che gli studenti Yeshivah cercano di evitare politicamente, sostenuti dagli ebrei ortodossi, e questa forma di riluttanza a partecipare al braccio armato dello Stato nasce in seguito al non volersi macchiare le mani per uno Stato che non è (neanche) biblicamente accurato.
Lo stesso Herzl prima che gli inglesi si accorgessero di lui non godeva di particolare reputazione all’interno delle comunità ebraiche religiose, e durante l’istituzione dello Stato Ebraico nelle varie Aliyah che attraversarono il Novecento ci fu un’accesissimo dibattito interno alla comunità ebraica newyorkese e internazionale dove gli ultra-ortodossi sostenevano che ai mezzosangue non era concesso toccare la Terra Santa. Oggi abbiamo all’interno dei movimenti ebrei antisionisti quello dei rabbini che sostengono che seguendo la Bibbia non si possa creare lo Stato di Israele fino a quando non scenderà il messia, aggiungendo che l’ebraismo non implica e anzi condanna l’avversità ai popoli non ebrei.

Tuttavia un sionismo religioso lo noto in un certo cristianesimo, curioso, dopotutto i cristiani vengono maltrattati all’interno di Gerusalemme e della Palestina occupata, quindi perché c’è un appoggio da parte dei cristiani al sionismo?
Questa tesi mi sorge in seguito ad una riflessione personale avuta dopo l’ennesima discussione con una persona cristiana che difendeva a spada tratta l’esistenza dello Stato di Israele.
Il cristianesimo tra le varie dispute teologiche e morali ne ha una aperta fin dai tempi di San Paolo se non di Gesù stesso, si tratta del Supersessionismo o Teologia della Sostituzione.
La Teologia della sostituzione è la teoria che Gesù Cristo abbia spezzato i ponti con l’ebraismo in quanto tale e cioè gli ebrei debbano smettere di seguire i propri leader religiosi e iniziare a seguire le parole e i comandamenti del Cristo se vogliono far parte del popolo eletto. Questa teoria è propria di un cristianesimo che se non è direttamente strizza l’occhio al fondamentalismo. Infatti molti cristiani, tra cui alcuni papi sebbene non incisamente hanno valorizzato la dottrina opposta, prendendo insomma una forma molto letterale delle parole di Gesù:

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti non son venuto per abolire, ma per dare compimento.”

Matteo 5:17 CEI

Secondo questa contro-dottrina gli ebrei sono già il popolo eletto, ne segue quindi una giustificazione più o meno forte del sionismo, insomma come parte di una volontà cristiana almeno indiretta. E’ un po’ questo il motivo per cui secondo me nelle Chiese Evangeliche americane solite a sostituire Trump con il Cristo sulla Croce ci sia un sionismo così entusiasmante, colorato ovviamente del più putrido razzismo.

Il Sionismo socialista

Veniamo alla parentesi più scottante perché si tratta di un problema che potremmo definire interno a noi socialisti. Il Sionismo socialista.
Nel corso della fine dell’ottocento e dell’inizio del novecento si andavano a colorare molti partiti nazionalisti di una vaga ripresa del socialismo, ciò nonostante un certo, giustissimo, dubbio da parte di una fetta del movimento socialista internazionale, e così anche il sionismo.

Il sionismo socialista si muove da un’epistemologia leggermente diversa dal c.d. sionismo politico, nasce parallelamente se non prima al sionismo di Herzl e promulga la seguente tesi: gli ebrei nei paesi occidentali sono rilegati a certi lavori, cioè un ebreo in un paese occidentale non diventerà un operaio, non diventerà un contadino ma avrà quelle funzioni da piccola borghesia come appunto il tanto nominato e stereotipico banchiere. Quindi relegati a queste posizioni gli ebrei si trovano 1. facile bersaglio di politiche propagandistiche 2. impossibilitati da un’unità contro l’oppressione antisemitica. Lo Stato ebraico quindi, attraverso le kibbutzim servirebbe a ridare agli ebrei il lavoro di contadini, un’industrializzazione autonoma e poi una suddivisione del lavoro interna agli ebrei, ecco come sarebbe possibile sconfiggere l’antisemitismo. Questo progetto benché una corrente molto rilevante il primo sionismo e quindi disposta a creare le kibbutzim ha abbandonato già negli anni ’20 del Novecento la caratteristica socialista secondo lo storico ebreo Zeev Sternhell, e come sappiamo le kibbutzim sono diventate tristemente note come micro-colonie dove nella maggior parte dei casi c’è un apartheid molto forte e uno sfruttamento della popolazione araba. Benché ci sia uno spunto interessante ovvero il mantenimento della popolazione ebraica in certi posti di lavoro, la soluzione ancora una volta è sbagliata ad un problema esistente.
Concettualmente il sionismo socialista presenta almeno 3 problematiche:

  1. Ricade nello stesso problema del sionismo politico, cioè cerca di risolvere un problema causato dallo stato-nazione con un altro stato-nazione
  2. Un problema simile a quello evidenziato dal sionismo socialista esiste anche nella società lavorativa al di sotto del capitalismo, ed è la difficoltà a creare lotte su categorie settoriali che logisticamente sono meno propense, anche per una possibile concorrenza tra le stesse. Ciò però non deve far nascere un sindacato corporativo di un certo settore.
  3. Il terzo problema del sionismo socialista è che rientra in qualche modo nel socialismo utopistico, voler creare cioè una società “socialista” che possa sopravvivere all’interno della società capitalistica è un’utopia. Il sionismo socialista cerca di riscrivere l’umanità non è differente, se togliamo la parte etnica-religiosa, dalle comunità hippies ecc… Il problema è che questo tipo di politica si scontra con la macchina imperante del capitale e non ha i mezzi per riuscire a sconfiggerla. L’unica soluzione è la solidarietà di tutti i lavoratori senza bandiere nazionali e la riuscita della lotta.