La parola socialdemocrazia rappresenta un grosso problema, rappresenta uno dei dilemmi che si incontra per primi quando una persona va ad interfacciarsi alla teoria politica. Ovviamente il problema sta nella definizione del termine, e certo, il collegamento tra significato e significante ecc…
Con questo articolo ho l’ambizione di voler portare un po’ di chiarezza su quest’argomento tanto vissuto unificando le varie visioni e cercando di fare un’analisi organica.
Storia?
Contesto storico importante
Durante il diciannovesimo secolo abbiamo un fenomeno di portata mondiale che colpisce la condizione demografica e stravolge sostanzialmente tutti i tipi di vita si tratta della Rivoluzione Industriale. A essa segue come aggettivo proprio il fenomeno dell’urbanizzazione, fenomeno alquanto importante in quanto cambierà per sempre la demografia specialmente dei paesi occidentali, in particolare quella che andava a costituire la classe contadina si andrà a trasformare nel proletariato. Se dovessimo riassumere questa storia in un fumetto disegneremmo Karl Marx che assistendo all’urbanizzazione esclama “Eureka!” con tanto di lampadina sopra la testa e si mette a scrivere Il Capitale, accorgendosi quindi del proverbiale conflitto di classe. Infatti all’interno di una economia prettamente agraria questo conflitto di classe è presente e c’è, basti pensare alle varie rivolte come quella di Jacques Bonhomme, la rivolta dei ciompi, la rivolta di Munster ecc… ma ciò che un intellettuale non riesce a vedere è la natura di tale conflitto o meglio come esso è strutturato e qual è il fine che noi dobbiamo tenere sulla bussola. In un’economia agraria il fine del contadino è poter tenere il proprio appezzamento di terra, il prezzo a cui può vendere il raccolto e quant’altro, ma il proletario invece questa terra non ce l’ha di partenza, ciò che può perdere sono solo le sue catene. Il fine da tenere sul mirino è sostanzialmente quello che dicevano gli operaisti italiani ovvero l’estinzione di sé stesso come classe, o almeno questo è ciò che esce fuori dall’analisi di Karl Marx. Questa specifica concezione viene fatta propria, non solo da Marx ma da tutti i movimenti che nascono di massa.
Movimenti sociali parastatali.
Insomma ho voluto dare una genesi ad un certo fenomeno di massa.
Questa è una semplificazione di un fenomeno prettamente grande e non abbiamo guardato alcuni fenomeni geografici come i “trade unions” inglesi e la nascita del socialismo in Inghilterra, questo perché non ho gli strumenti per farlo ma coraggio andiamo avanti e spostiamo il focus su un paese per quanto complicato a noi comodo per via della cronologia storica: la Germania, o per meglio dire l’Impero Tedesco. Il famoso Secondo Reich di Bismarck. Paese che in questi anni fiorisce di intellettuali e politici come Lassalle, coevo di Marx e acerrimo nemico in certi sensi.
È in effetti da quest’ultimo che prendiamo l’organizzazione che ci interessa, l’Associazione Generale dei Lavoratori Tedeschi (ndr Allgemeiner Deutscher Arbeiter-Verein). Non si tratta di un’organizzazione particolarmente importante per la storia del movimento operaio né tantomeno la prima o la più influente, già prima nel 1847 era stata fondata la Lega dei Comunisti dal nostro trevirino di fiducia, questa associazione invece emerge nel 1863.
Da Lassalle e delle figure politiche piuttosto importanti dai nomi di A. Bebel e W. Liebknecht (chiamati Eisenacheriani) nascerà il Partito Social Democratico tramite il Programma Gotha, dal quale abbiamo una delle opere discretamente famose di Marx il quale si scaglia contro quest’ultimi. È un lavoro particolarmente interessante e mette in risalto il già nascente scontro tra socialdemocratici e comunisti.
Il Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) sarà tra i primi movimenti di massa e tra quelli più importanti, nonostante le numerose interruzioni fino ad oggi egli gode del badge per il partito più antico d’Europa. Da subito malgrado il disconoscimento fraterno si è fatto vanto di portare la Bandiera Rossa e si è imposto come partito di massa dando una identità alle enorme masse di immigrati ed ex-campagnoli che entravano in città e lavoravano per fabbriche e miniere. Ora non so dire se il SPD fece da spunto ma partiti socialisti iniziarono a nascere in tutti i paesi occidentali eccetto che per gli USA. Quindi voglio trasformare la visualizzazione dal particolare al generale, in Europa i partiti socialisti fioriscono, uno che avrà molto impatto sarà il PSI nostrano. Questi partiti fecero analogalmente uso della figura di Karl Marx, all’esterno almeno erano rossi e comunisti ma all’interno non c’era una dottrina che andava seguita e appunto nell’SPD Lassalle fu una figura importante benché rivale di Marx. In contemporanea alla nascita dei partiti, se non per spinta di questi avvenne il fenomeno della democratizzazione e l’inizio della politica di massa, cioè la politica elettorale e parlamentare rivolse tutto il volgo questo fattore è imprescindibile dalla formazione dei vari partiti socialisti e socialdemocratici. Adesso però iniziamo con la parte più critica, se possiamo concepire la parlamentarizzazione come una vittoria perché finalmente la politica decisionale non è rivolta solamente a persone di censo elevato dobbiamo considerarla a pari merito anche come una sconfitta, in quanto elimina la soggettività della classe proletaria e inizia a prendere luogo l’ipocrisia e la propaganda. Cioè ciò che intendo dire è che se con la politica di censo c’era una chiara divisione tra la classe dominante e la classe sottomessa adesso questa divisione formalmente è estinta e continua a cucere le trame più indisturbata, per questo cioè avviso compagn* da non gettare critici della democrazia parlamentare come Bordiga immediatamente nel cesso, fatto sta che i partiti socialisti si buttarono a capofitto in questa storia, ed è qui che vediamo una prima rottura evidente, nella fine dell’800 e inizio del 900 la classe operaia non era ancora la maggiore in quantità e veniva battuta dalla classe contadina, ma la quale nei paesi più “avanzati” diffidava dei partiti socialisti ma i vari partiti socialisti non diffidarono di essa, fu questo uno dei numerosi compromessi che fecero i partiti socialisti.
Così il partito socialdemocratico si fece avanti con mozioni, scioperi, questioni in parlamento cercando di non sforare troppo la ferrea disciplina della legge per poter mantenere quel polo di potere all’interno delle istituzioni e così classi dirigenti guidati da personaggi come Giolitti o Bismarck si accorsero di poter gestire una conflittualità di questo genere.
Depressione del ’29
Sì ok ho saltato la partecipazione dei partiti socialdemocratici alla prima guerra mondiale, la burgfrieden e anche il social-fascismo. Insomma non è che ci interessa moltissimo questo non è un articolo storico. Intanto però vorrei prendere le parole del più celeberrimo disertore del marxismo ovvero Michele Boldrin. No, scherzo:
In realtà non esiste idea liberale che non appartenga anche al patrimonio ideale del socialismo.
Eduard Bernstein
Facciamo un fast forward nella crisi del ’29, credo che qua la storia sia proverbiale, Keynes rimpiazza il liberalismo e l’economia mista, di welfare diventerà poi popolare in tutto l’occidente. tant’è che infatti il liberalismo si dovrà riaffermare in neoliberismo per poter riprendere piede negli anni ’80. Arriva quindi la misura del welfare tramite la quale governi applicano misure di tamponamento sociale e garantiscono diritti base ai lavoratori.
All’inizio del mio interesse in politica tendevo a differenziare 2 tempi della socialdemocrazia, una socialdemocrazia vecchia appunto dell’SPD e una socialdemocrazia nuova appunto da Keynes se vogliamo, questa differenza categoriale è diciamo se non sparita molto sfumata anche dalla suddetta quote di Bernstein, in sostanza c’è un abbandono del caposaldo epistemologico marxiano della lotta e della conflittualità, invece da parte di Keynes non c’è nessun abbandono, nasce chiaramente come liberale e ci rimane. La politica economica propugnata da Keynes come dice R. Bellofiore non è altro che un tentativo di salvaguardare il capitalismo, sia da sé stesso sia dalla “minaccia esterna”. Ad onor del vero e per evitare demagogie varie probabilmente fu nel secondo dopoguerra che si delinea la differenza tra socialismo democratico e socialdemocrazia, nel quale il primo riprende le istanze fin dai socialisti utopisti, tuttavia anche qua la semantica è fumosa e fa vedere poco. A proposito di linguaggio abbiamo un esempio storico lampante molto molto vicino:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Art. 1 Cost.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Nello Statuto dell’Italia abbiamo 2 concetti esprimibili in due parole, il primo è che l’italia è una repubblica democratica e il secondo è che è fondata sul lavoro, questo in particolare è interessante perché proviene da lunghi dibattiti nell’Assemblea Costituente tra il Partito Comunista Italiano nato nel 1921 molto forte, e le altre parti politiche, insomma il PCI avrebbe voluto un “fondata sui lavoratori” ma siccome è troppo classista si è deciso di generalizzare il termine e in qualche modo apoliticizzarlo, lascio poi a voi la decisione se sia stato un bene o no la partecipazione nell’Assemblea del Partito Comunista. Dopodiché nella Costituzione viene asserito qualcosa sul welfare, lo Stato che garantisce il benessere dei propri cittadini e protezione di essi è chiamato sociale e non socialista. In pratica: stato sociale democratico, e questo solamente sulla carta.